TOM PRYCE E QUELL’ESTINTORE MORTALE A KYALAMI 1977

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Tom Pryce sulla Shadow – da redbull.com

articolo di Francesco Falli

Thomas Maldwyn Pryce è stato un pilota automobilistico gallese, vincitore della Race of Champions 1975, unico britannico proveniente dal Galles ad avere trionfato in una gara di Formula 1, anche se non valida per il campionato del mondo. Dopo aver attirato le attenzioni degli addetti ai lavori grazie ad ottime prestazioni nelle categorie minori, ebbe l’occasione di debuttare in Formula 1 nel 1974 al Gran Premio del Belgio (20esimo in griglia e ritirato al sessantaseiesimo giro) alla guida di una Token, per poi passare alla Shadow, con cui ottenne la vittoria alla Race Of Champions corsa l’anno successivo sul circuito di Brands Hatch, oltre ad una pole position, sempre in Inghilterra, a Silverstone, e due podi, ovvero due terzi posti in Austria, sempre nel 1975, e al debutto l’anno dopo in Brasile; si parlò anche di un interessamento di Colin Chapman, ma il passaggio alla Lotus non avvenne e si arrivò infine al maledetto 1977

Sono passati 40 anni da quel sabato pomeriggio del 5 marzo a Kyalami, quando il gallese Thomas Maldwyn ”Tom” Pryce trovò sulla sua strada un 19enne entusiasta con un estintore in mano, che non doveva essere lì, in mezzo alla pista. Pryce si era qualificato per il Gran Premio del Sudafrica al 15esimo posto della griglia, non molto bene in assoluto, ma con oltre un secondo di margine sul compagno Renzo Zorzi, anche lui sulla Shadow DN8.

La partenza andò anche peggio: il gallese si ritrovò 23esimo su 23, ultimo, probabilmente per un problema di innesto della seconda marcia. Già nel corso del primo giro superò la lentissima BRM P 201 di Larry Perkins, riesumata in fretta e furia una volta constatata l’assoluta pochezza della nuova P 207.

Piano piano Tom risalì, e superò così il compagno Zorzi e Brett Lunger nel corso del secondo passaggio; quindi le due March di Boy Hayje e di Alex Dias Ribeiro nel terzo giro; la Surtees di Hans Binder nel 5°; e guadagnò un’altra posizione per il ritiro di Ronnie Peterson, in difficoltà con la sua P 34 a sei ruote, la Tyrrell più discussa di sempre.

Superò Regazzoni (su Ensign) al 14° giro e la Lotus dello svedese Gunnar Nilsson tre giri dopo. Nel corso del 20° giro scavalcò la Ligier di Jacques Laffite, ed a quel punto si trovava in 13esima posizione.

Quello fu l’ultimo sorpasso della sua vita agonistica: non fu l’ultimo pensato, perchè fece ancora in tempo a mettersi in scia a Hans Stuck, che stava disputando per i colori della Lexington il gran premio sudafricano al posto dell’infortunato pilota di casa, Ian Scheckter, fratello del più noto Jody. Fu proprio perchè coperto da Stuck che molto probabilmente Pryce non si rese neppure conto della presenza in pista dei due commissari, quando travolse e uccise il giovane Frederick Jansen Van Vuuren, restando a suo volta ucciso dall’estintore sfuggito alle mani del povero Van Vuuren, che lo colpì alla testa con una violenza pari a diverse centinaia di chili. Niki Lauda in quel momento era al comando dal 6° giro, quando aveva scavalcato Hunt guidando la sua Ferrari, e sperava, vincendo, di ristabilire nel team di Maranello quella gerarchia perduta col gran rifiuto del Giappone di pochi mesi prima.

Fino a quel momento era l’astro di Reutemann a sembrare più acceso. Ma con la vittoria in Sudafrica, Lauda avrebbe dimostrato di essere sempre un pilota molto, molto redditizio.

Dopo 40 anni, per la prima volta ho pensato diversamente a quel pezzo del roll-bar Shadow che Lauda, proprio lui, colpì e agganciò sul suo fondo vettura, passandogli sopra sul rettilineo, subito dopo il botto tragico di Tom Pryce. Da quella ferita inferta alla sua Ferrari, Lauda finì col perdere quasi tutto il liquido refrigerante e anzi, tutti si stupirono a gran premio finito di come l’austriaco avesse potuto concludere la corsa.

Ma oltre a questo, oggi mi trovo a pensare che qualcosa di Pryce continuò a correre, e a vincere, in quella corsa che fu la sua ultima. Fu quel roll-bar, sul quale lui sicuramente poggiò il palmo di una delle sue mani guantate per infilarsi in quel cockpit dal quale non sarebbe più uscito vivo…. quel roll-bar della Shadow di Pryce che dunque tagliò per primo il traguardo, agganciato profondamente alla Ferrari di Lauda… chissà se qualcuno ha conservato, per pudore, come ricordo, e per amore quel pezzo di metallo.

Probabilmente no; è comunque bello pensare che un cuore generoso lo abbia invece, già da quel tempo lontano, inviato ai suoi cari.

Non avevo mai pensato a questo dettaglio: qualcosa di Tom arrivò primo. Qualcosa che ti trovi a pensare, in effetti, solo andando avanti con gli anni.

articolo di Francesco Falli – falli.francesco@libero.it

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