LA PRIMA VITTORIA SLAM DI LENDL A PARIGI 1984 NEL GIORNO PIU’ AMARO DI MCENROE

articolo di Nicola Pucci

Nel riavvolgere il nastro della storia e tornare a quel pomeriggio del 10 giugno 1984 sul campo centrale del Roland-Garros, mi assale un dubbio amletico: si tende a ricordare maggiormente la prima vittoria in un torneo dello Slam di Ivan Lendl, oppure la meravigliosa sinfonia proposta per due set e mezzo dal tennis geniale di John McEnroe, ahimè per lui rimasta con i contorni dell’incompiuta?

Bella questione. Indubbiamente. E se lasciamo al lettore l’onere di definire la vertenza sportiva, è necessario qualche cenno di cronaca, preludio al resoconto di quella straordinaria edizione degli Internazionali di Francia.

McEnroe, in effetti, sta pennellando quella che sarà la miglior annata della sua carriera (infine, chiuderà la stagione con 82 vittorie e 3 sole sconfitte!), indiscutibilmente il numero 1 del ranking ed imbattuto all’atto di presentarsi all’appuntamento alla Porte d’Auteuil. L’americano ha infilato, infatti, solo vittorie, a Filadelfia (proprio contro Lendl, 6-3 3-6 6-3 7-6), a Richmond, a Madrid, a Bruxelles (ancora contro il cecoslovacco, 6-1 6-3), alle WCT Finals di Dallas (da non confondersi con il Masterd, che “genius” farà suo nel gennaio 1985) e a Forest Hills (terza vittoria contro “Ivan il terribile“, 6-4 6-2), prendendosi poi il lusso di cogliere un quarto successo contro Lendl, 6-3 6-2, alla World Team Cup di Dusseldorf, prestigioso antipasto su terra battuta di quel che saranno poi le grandi sfide del Roland-Garros.

Lendl, dal canto suo, attualmente numero 2 del mondo, ha un “curriculum vitae” difficile da decifrare. Da quando è apparso sul circuito, a far data 1978, ha scalato velocemente le classifiche (il 28 febbraio 1983, per la prima volta, ha capeggiato quel ranking che lo vedrà numero 1 per ben 270 settimane complessive!), vincendo molto ma trovando sempre qualcuno più abile di lui nei tornei dello Slam. Come certificano le quattro finali perse, 1981 contro Borg al Roland-Garros, 1982 e 1983 contro Connors all’US Open e 1983 contro Wilander all’Australian Open. Insomma, un “perdente di lusso“, etichetta che in verità vorrebbe proprio staccarsi di dosso. E quale occasione migliore di Parigi 1984, sulla superficie che meglio di ogni altra gli è congeniale, e magari risulta un minimo indigesta al rivale?

Il tabellone accredita McEnroe e Lendl, ovviamente, delle prime due teste di serie, con Jimmy Connors a recitare il ruolo di terzo incomodo, seppur non abbia a sua volta gran pedigree sul “rosso“. Yannick Noah, detentore del titolo, è numero 6, così come Mats Wilander, vincitore nel 1982 e finalista l’anno dopo, è numero 4, con il rampante Jimmy Arias, prodotto dalla scuola di Nick Bollettieri, Andres Gomez (che ha concesso il bis a Roma), José Luis Clerc, l’altro svedese Henrik Sundstrom (vincitore a Montecarlo) e il “vecchio” Guillermo Vilas a completare la top-ten dei favoriti alla vittoria.

I primi turni, ad onor del vero, non riservano grossi problemi ai due protagonisti più attesi, l’uno, McEnroe, che lascia solo le briciole a Horacio De La Pena, Ben Testerman e Mel Purcell, l’altro, Lendl, a fare altrettanto con Matt Mitchell, Mario Martinez e Paul McNamee. E se l’americano, agli ottavi, concede un set al terraiolo doc José Higueras (numero 12 del seeding, 6-4 7-6 3-6 6-3), il cecoslovacco domina lo svedese Anders Jarryd (testa di serie numero 11, 6-4 6-0 6-4), unico tennista del suo paese a giocare serve-and-volley (in attesa di Stefan Edberg) ed indiscutibilmente più a suo agio sui tappeti rapidi.

Nel frattempo, sette dei primi otto del tabellone sono puntuali all’appuntamento con i quarti di finale, con l’eccezione di Clerc (numero 8), estromesso al secondo turno da Karel Novacek, a sua volta sconfitto ai sedicesimi dall’azzurro Francesco Cancellotti, fresco di successo al torneo di Firenze e che agli ottavi di finale si arrende a Sundstrom (numero 9, che si impone 7-5 6-1 6-2).

Quattro quarti di nobiltà, dunque, con McEnroe (1) che non lascia scampo ad Arias (5, sconfitto in tre rapidi set, 6-3 6-4 6-4) ed incrocia in semifinale Connors (3) che ha la meglio a sua volta in tre set di Sundstrom (9, battuto 7-6 6-1 6-4). E se Lendl (2) lascia a Gomez (7, che vende cara la pelle, 6-4 6-7 6-4 6-3) il secondo set, Wilander (4) e Noah (6) replicano la finale dell’anno precedente, col lo scandinavo ad imporsi stavolta al termine di una battaglia serrata risolta al set decisivo (7-6 2-6 3-6 6-3 6-3).

Le due semifinali mettono l’uno di fronte all’altro McEnroe e Connors nella parte alta del tabellone, per un derby americano tra due tennisti che non si amano davvero, e Lendl e Wilander in quella bassa, per una sfida che nel successivo quadriennio avrà più di una replica in finale. E se il pubblico parigino si attendeva battaglia, rimane parzialmente deluso, con John che liquida Jimbo in tre set, 7-5 6-1 6-2, e Ivan che fa altrettanto con Mats, 6-3 6-3 7-5, garantendo la finale auspicata alla vigilia del torneo.

10 giugno 1984. Campo centrale del Roland-Garros. Il genio mancino di John McEnroe, che praticherebbe serve-and-volley anche sulla sabbia, contro la pressione da fondocampo di Ivan Lendl, che se potesse sfonderebbe il Muro di Berlino (non a caso, è cecoslovacco) a suon di cannonate con il dritto. Una contrapposizione di stili che sta per regalare uno dei combattimenti più memorabili dell’intera storia del tennis.

Servizi vincenti, attacchi in controbalzo, sortite a rete improvvise, voleeè imprendibili. Meglio di così, su un campo da tennis e con propensione offensiva, non si può davvero giocare. Ed inevitabilmente, per i primi due set e mezzo, fino al 6-3 6-2 2-2 McEnroe, non c’è proprio partita. Lendl si trova sotto 0/30 e 30/40 sul proprio servizio, un altro break spianerebbe definitivamente all’americano la strada verso il trionfo, ma due risposte di rovescio che escono di pochi centimetri segnano, di fatto, la svolta del match. Lendl rimane aggrappato al servizio, i suoi passanti sono ora più solidi, come la pressione da fondocampo, mentre la battuta di Mcnroe è meno inviolabile e la voleè ogni tanto balbetta.E sul 5-4, con un pallonetto ben calibrato e due risposte vincenti di rovescio, il cecoslovacco opera il primo break della partita e dimezza lo svantaggio.

Ora il match è aperto, avvincente, McEnroe ha ancora la forza per strappare due volte il servizio a Lendl e portarsi sul 4-2 al quarto set, ha la palla del 5-3 ma mette lunga la voleè bassa di dritto, e qualche minuto dopo il cecoslovacco lo riaggancia. Per poi trascinare la sfida al quinto set, 7-5 grazie ad uno straordinario lob vincente che scavalca McEnroe proiettato a rete.

Quella che sembrava una recita perfetta, si trasforma ora in un incubo per McEnroe, cinque successi Slam (2 a Wimbledon e 3 agli Us Open) nulla più contano contro un tennista che nei Major vanta solo quattro sconfitte, al punto che gli americani lo hanno ribattezzato “chicken“. Il “polloLendl, ora, non molla più la presa, McEnroe ha smarrito l’ispirazione e sul 5-6 30/40, chiamato a fronteggiare un match-point, sbaglia una volée di dritto per lui normalmente banale.

3-6 2-6 6-4 7-5 7-5, la Coppa dei Moschettieri finisce nelle mani di Lendl, che rompe l’incantesimo Slam. A John non rimane che il rimpianto di quel che il sogno Roland-Garros poteva, e doveva essere, e ahimé per lui non si è trasformato in realtà.

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