LA MILANO-SANREMO INFINE CONQUISTATA DA MOSER NELL’ANNO DI GRAZIA 1984

articolo di Nicola Pucci

Quando ormai si avvia verso le 33 primavere, a Francesco Moser mancano due tasselli per completare il suo meraviglioso palmares di fuoriclasse del pedale: Milano-Sanremo e Giro d’Italia.

In effetti, fin dal debutto nel grande ciclismo il campione di Palù di Giovo ha inseguito le due corse che più delle altre alimentano la leggenda del ciclismo italiano, la “classicissima di primavera” e la “corsa rosa“, che quando si abborda la stagione 1984 hanno sempre respinto il trentino. In Liguria, ad esempio, Moser ha colto la piazza d’onore nel 1975, battuto in volata da Eddy Merckx che nell’occasione coglie il sesto successo a Sanremo, collezionando in seguito un numero congruo di piazzamenti (quarto nel 1979 e nel 1982, sesto nel 1978 e nel 1980, ottavo nel 1976) che più che soddisfare, feriscono il suo orgoglio di campione; al Giro, talvolta perfettamente disegnato per le sue caratteristiche più di passista-velocista che di scalatore, è giunto secondo nel 1977 e nel 1979 (battuto da Michel Pollentier e da Giuseppe Saronni), salendo sul terzo gradino del podio nel 1978 e terminando quarto nel 1976.

Insomma, lui che ha dominato il Campionato del Mondo del 1977 a San Cristobal, che si è messo in bacheca tre Parigi-Roubaix consecutive dal 1978 al 1980, che ha messo la sua ruota davanti a tutti alla Parigi-Tours del 1974, alla Freccia Vallone e al Campionato di Zurigo del 1977, e ha domato i muri della Gand-Wevelgem del 1979, vorrebbe tanto aggiungere qualcosa di “italiano” ai due successi colti al Giro di Lombardia, nel 1975 e nel 1978. Ma gli anni, inesorabilmente, passano, la carta d’identità presenta il conto e, realisticamente, le speranze di conquistare infine Sanremo e Giro iniziano davvero a ridursi sempre più al lumicino. Ma… ma il 1984 è alle porte, e per Francesco Moser sarà un anno di grazia.

E’ un Moser tirato a lucido, quello che si presenta all’inizio della nuova stagione ciclistica. Grazie al fondamentale sostegno dell’equipe scientifica della Enervit di Paolo Sorbini, e con il supporto del professor Francesco Conconi, il trentino ha cambiato drasticamente i metodi di preparazione ed alimentazione, ed ha subito in serbo un exploit destinato a cambiare la storia del ciclismo: il 19 gennaio, a Città del Messico, Francesco stabilisce il nuovo record dell’ora, 50,808 km., favorito indubbiamente dal realizzare il tentativo in altura e con l’uso delle ruote lenticolari, ideate dal professor Antonio Dal Monte, migliorandolo quattro giorno dopo in 51,151 km. E quando dalla pista si passa alla strada, Moser è tanto in forma da non nascondere di voler provare a far saltare il banco alla Milano-Sanremo.

La “Classicissima” è programmata per il 17 marzo, consueti 294 chilometri di fatica che prevedono, come da tradizione, la scalata del Colle del Turchino nella prima parte di corsa, l’approccio ai tre Capi (Mele, Cervo e Berta) quando si guadagna la Riviera, l’ascesa della Cipressa, e, buon ultimo, il Poggio di Sanremo, solitamente trampolino di lancio per chi voglia acchiappare la gloria all’atto di transitare sotto lo striscione di arrivo di Via Roma. Giuseppe Saronni, trionfatore dodici mesi prima in maglia iridata, è il campione uscente, e al pari del lombardo altri nobili pretendenti, quali l’irlandese Sean Kelly, i francesi Laurent Fignon e Bernard Hinault, ed il belga Eric Vanderaerden, oltre al campione del mondo Greg Lemond, strizzano l’occhiolino alla vittoria finale. Moser, dal canto suo, progetta il colpo a sensazione.

Il primo tentativo di fuga si sviluppa dopo 92 chilometri a Pozzolo Formigaro, ed il temerario è un giovanotto romagnolo di Riolo Terme, Elio Festa, che corre per la Santini diretta da Bruno Reverberi. In cima al Turchino, col tempo che esplode scaricando sui corridori una bufera di nevischio e vento, il battistrada può contare un vantaggio di circa 5 minuti sull’australiano Phil Anderson, uno capace di aggiudicarsi l’Amstel Gold Race nel 1983 e terminare quinto al Tour de France l’anno prima.

Ma è alle spalle dei due attaccanti che si consuma un episodio destinato ad incidere sull’esito della corsa. Salendo verso il Turchino, in seno al gruppo si verifica una carambola gigantesca che, oltre ad aggiungere fatica supplementare per alcuni corridori, costringe al ritiro molti di loro. Fra i coinvolti, alcuni favoriti della vigilia come Laurent Fignon, Giovanni Battaglin, Bernard Hinault (che pur senza conseguenze preferisce ritirarsi da una corsa che nella sua leggendaria carriera non lo ha mai visto tra i protagonisti) e Francesco Moser, il quale per rimettersi in carreggiata e dribblare il mucchio di bici e corridori sull’asfalto si improvvisa ciclocrossista con il mezzo meccanico sulle spalle e percorre un bel tratto fra i campi ed il fango.

Mentre davanti Anderson s’avvicina a Festa, il neoprimatista dell’ora è costretto ad un lungo inseguimento solitario nella discesa verso Voltri. Ci provano anche Roberto Visentini ed Urs Freuler, obbligando ancora Moser ad un’altra caccia di 12 chilometri, ma poco prima di Arenzano l’australiano raggiunge e lascia sul posto il romagnolo, mentre dietro il trentino, appena rientrato, per evitare il più possibile ulteriori guai, si mette in testa al gruppo forte di una quarantina di unità.

Sul Capo Berta, il vantaggio di Anderson s’attesta sul minuto, mentre fra gli inseguitori, ancora Moser se la vede brutta, finendo su una cunetta ed evitando la caduta appoggiandosi ad un muretto. A metà Cipressa, l’australiano viene ripreso e il nulla di fatto con cui termina l’ascesa lascia intendere che i giochi per il successo verranno definiti sul Poggio, anche se la rischiosa discesa da Costarainera crea non poche difficoltà a Guido Bontempi e a Jan Raas, il vincitore del 1977, che precipita in un burrone e si salva per il miracoloso atterraggio su un ulivo.

Poco prima dell’erta finale, tenta l’assolo il norvegese Ole Christian Silseth, ripreso nei primi metri della salita. Sulle ceneri di quel tentativo, scattano il francese Marc Madiot, l’irlandese Stephen Roche e l’inglese Robert Millar. Sui tre uomini al comando torna sotto un corridore in maglia Gis-Gelati, proprio un incontenibile Moser, il quale, insensibile agli sforzi di una corsa che l’ha costretto ad inseguimenti continui, si lancia in discesa come solo lui sa fare. E per gli altri, anche per Alfredo Chinetti che è l’ultimo a cedere, complice una sbandata in curva, non resta altro che la volata per il posto d’onore, che premia Kelly con la seconda moneta davanti a Vanderaerden, Paolo Rosola e Daniele Caroli.

20 secondi prima di loro, e dopo due mesi dal record dell’ora di Città del Messico, con un avvicinamento alla “Classicissima” che lo ha visto vincere (per la sesta volta!) la Sei Giorni di Milano in coppia con l’olandese René Pijnen, Francesco Moser, protagonista di una delle prestazioni più belle della sua lunga carriera, ha finalmente infranto l’incantesimo che lo voleva sempre sconfitto nella Città dei Fiori. E se il primo a complimentarsi con lui è l’eterno rivale Saronni, beh, davvero, quel 1984 fu proprio un anno di grazia. Perché poi a maggio “lo sceriffosfaterà anche il tabù Giro d’Italia

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