BETTY ROBINSON, LA VELOCISTA CHE VISSE DUE VOLTE

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Betty Robinson – da chicagotribune.com

articolo di Giovanni Manenti

In un’epoca come la nostra, in cui alle donne non è preclusa alcuna attività sportiva – praticando financo il pugilato ed il sollevamento pesi – resta difficile pensare che si sia dovuto attendere sino alla VIII Edizione dei Giochi Olimpici affinché alle rappresentanti del “gentil sesso” fosse data l’opportunità di cimentarsi in quella che è universalmente conosciuta come la “Regina di tutti gli Sport”, vale a dire l’Atletica Leggera.

Ed invece è proprio così, con le ragazze ad esordire alle Olimpiadi di Amsterdam ’28, con un programma peraltro assai ridotto, limitato alle sole corse dei m.100 ed 800 piani, alla staffetta 4×100 e, per quanto riguarda i concorsi, al salto in alto ed al lancio del disco, con addirittura gli 800 metri considerati una gara troppo massacrante per loro, tant’è che, dopo la rassegna olandese, per ritrovare tale prova inserita nel programma olimpico, occorre attendere ben 32 anni, ai Giochi di Roma ’60.

In questo scenario, non è pertanto neppure facile reclutare atlete disposte a praticare detta attività ed, in vista del citato esordio a cinque cerchi, vi è una Nazione che sta dominando la scena, ed è costituita dalle rappresentanti del Canada, tra le quali emerge Myrtle Cook che, proprio ad inizio del mese di svolgimento dei Giochi, il 2 luglio 1928 al meeting di Halifax, stabilisce il record mondiale con il tempo di 12” netti.

Convincere ragazze a partecipare alle Olimpiadi non è facile neppure per gli Stati Uniti, che pure in campo maschile si sono aggiudicati la prova sui m.100 in cinque delle prime sette edizioni dei Giochi, e sono reduci dalla cocente delusione patita quattro anni prima a Parigi ’24, quando con ben quattro rappresentanti in Finale, tra cui Charles Paddock, vincitore della prova ad Anversa ’20, si erano fatti beffare dal britannico Harold Abrahams per quell’Oro olimpico mirabilmente immortalato nel film “Momenti di gloria” del maggio 1981.

Ed ecco, allora, entrare di prepotenza nella nostra storia odierna la protagonista di quell’esordio olimpico, vale a dire l’americana Elizabeth “Betty” Robinson, una studentessa non ancora 17enne in quanto nata a Riverdale, nell’Illinois, a fine agosto 1911, la quale approda all’atletica quasi per caso, essendo stata notata dal suo insegnante di biologia mentre corre per prendere un treno, facendole un successivo test cronometrico addirittura nel corridoio della scuola, con esito peraltro confortante, visto che la ragazza, dopo aver calzato le scarpette chiodate per la sua prima gara il 30 marzo 1928, si qualifica per i Giochi classificandosi al secondo posto ai Trials di Cambridge di inizio luglio, alle spalle della più esperta ed accreditata Elta Cartwright, di quattro anni più anziana, e già vincitrice del titolo AAU sulle 100yd nel 1927 (11”4), confermato l’anno seguente sui m.100 in 12”4 nella gara che serve anche come selezione olimpica.

Sbarcate – è proprio il caso di dirlo, poiché all’epoca i trasferimenti oltre Oceano avvenivano via mare – in Europa, le iscritte alla gara dei 100 metri devono subito confrontarsi con il trio canadese, le cui rappresentanti, Bobbie Rosenfeld, Ethel Smith e la già citata Cook, si impongono d’autorità nelle loro rispettive batterie, disputate nel primo pomeriggio del 30 luglio 1928, con le semifinali in programma meno di tre ore dopo, dove la giovane Robinson scopre però le proprie carte aggiudicandosi la seconda serie in un convincente tempo di 12”4 precedendo la primatista mondiale Cook, mentre le proprie compagne naufragano miseramente, prima fra tutte proprio la Cartwright, desolatamente ultima nella terza serie.

Con la prima finale di velocità piana della storia olimpica in campo femminile in programma il successivo pomeriggio del 31 luglio alle ore 16:35, alla partenza – non si può usare il termine blocchi in quanto gli stessi vengono adottati solo a partire dalle Olimpiadi di Londra 1948 – si schierano anche le tedesche Helen Schmidt ed Erna Steinberg, oltre alla citata Robinson ed alle tre canadesi, le quali hanno modo di dare scandalo, per la morale del tempo, abbracciandosi e baciandosi prima dell’avvio della gara, un modo per caricarsi a vicenda che oggi passerebbe inosservato, ma che all’epoca….

Finale che, peraltro, sembra destinata a passare alla storia non solo per essere la prima a disputarsi in sede olimpica, ma anche per non prendere mai il via in quanto, vuoi per inesperienza oppure per la tensione e l’importanza del momento, si verificano ben sette (!!) false partenze, di cui due accreditate alle favorite Cook e Schmidt che, pertanto, vengono squalificate, facendo sì che restino solo in quattro a contendersi il podio, un indubbio vantaggio per la Robinson, per la quale la partecipazione olimpica è solo la sua quarta apparizione ad alto livello, dopo il ricordato esordio in pista avvenuto a marzo del medesimo anno.

Occasione che, complice l’incoscienza tipica delle 16enni, non si lascia sfuggire, facendo sua la gara con il tempo di 12”2 precedendo la coppia canadese formata da Rosenfeld e Smith (rispettivamente di 7 e 4 anni più anziane di lei) che si classificano nell’ordine pur venendo cronometrate in un identico 12”3.

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La Robinson vince i 100 metri ai Giochi di Amsterdam ’28 – da phactual.com

E così, la giovane “Betty” unisce il vanto, oltre di essere la prima vincitrice dei m.100 alle Olimpiadi anche quello di portare al proprio Paese la prima medaglia d’Oro olimpica, fallendo per soli 25’ un’altra pietra miliare, vale a dire quella di essere la prima donna in assoluto a conquistare il successo alla rassegna a cinque cerchi, preceduta dalla polacca Halina Konopacka, che si aggiudica il titolo nel lancio del disco, forse anche a causa di quelle sette false partenze…

Dettagli, in ogni caso, con la Robinson che cerca, senza peraltro riuscirvi, di contrastare la voglia di riscatto delle canadesi, il cui quartetto – con l’aggiunta di Florence Bell alle protagoniste della prova individuale – si aggiudica d’autorità la staffetta 4×100 demolendo il primato mondiale coprendo la distanza in 48”4, con le rappresentanti degli Stati Uniti a chiudere in un 48”8 che vale loro l’argento.

Considerata la giovanissima età, per la Robinson si prospetta un futuro roseo al quale apprestarsi con allenamenti che ne affinino le scontate carenze tecniche ed i risultati non tardano a dare buoni frutti con il record mondiale di 11”0 sulle 100yd stabilito a Chicago nel settembre dello stesso anno e la successiva conquista dei titoli AAU sulle 50 e 100yd (queste ultime corse in 11”2) del 1929, cui seguono, nel marzo 1931, altri due primati mondiali sulle distanze americane delle 60 (coperte in 6”9) e 70yd (corse in 7”9), quando la mala sorte ci mette lo zampino.

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L’areo della Robinson – da:terapeak.com

Attesa protagonista ai Giochi di Los Angeles ’32, la Robinson viene coinvolta in un incidente aereo allorquando un piccolo velivolo a due posti pilotato dal proprio cugino si schianta al suolo, facendo sì che l’appena 20enne velocista si procuri gravissime lesioni, costituite da fratture ad un braccio, ad una gamba ed all’anca, oltre che da ferite alla fronte ed all’arcata sopraciliare ed ad una commozione cerebrale.

La scena che si presenta alla prima persona che presta loro soccorso è talmente terrificante che lo stesso ritiene siano entrambi morti, tanto da caricarli sulla propria macchina per condurli all’obitorio dove, viceversa e per fortuna, si accorgono che sono ancora in vita, pur in condizioni apparentemente disperate, visto che la Robinson resta in coma per quasi due mesi ed incapace di riprendere a camminare normalmente per i successivi due anni.

Svanito il sogno di confermarsi campionessa olimpica davanti al proprio pubblico ai ricordati Giochi californiani, la Robinson, dimostrando un carattere ed una forza di volontà fuori dal comune, non si dà per vinta e, nonostante i postumi dell’incidente non le consentano di assumere la posizione rannicchiata alla partenza, si presenta ai Trials per la selezione alle Olimpiadi di Berlino 1936.

Il risultato, condizionato dalle riferite menomazioni, non le consente di potersi iscrivere alla gara individuale, ma è comunque confortante, poiché con il quinto posto in 12”5 nella gara dominata in 11”7 dalla primatista mondiale Helene Stephens, ottiene la possibilità di essere selezionata per la staffetta 4×100.

E mentre la Stephens ribadisce la propria superiorità facendo suo l’Oro nella Finale sui m.100 piani in 11”5, la Robinson, probabilmente quale premio sia per il titolo conquistato ad Amsterdam otto anni prima che per il coraggio e la forza di volontà dimostrate nel recuperare una soddisfacente condizione atletica, viene inserita dalla Federazione Usa quale terza frazionista della staffetta 4×100, gara in cui partendo dalla posizione eretta, non soffre alcun svantaggio rispetto alle altre concorrenti.

Peraltro, le ragazze americane – Stephens a parte – non sono le favorite per la medaglia d’oro, il cui pronostico pende a favore delle tedesche, le quali avevano piazzato ben tre loro rappresentanti nella Finale della gara individuale e che si presentano a Berlino altresì forti del recente primato mondiale di 46”5 al quale tolgono un altro 0”1 decimo aggiudicandosi la seconda semifinale in 46”4 a conferma della loro legittima pretesa al gradino più alto del podio.

Ma il quartetto a stelle e strisce ha una importante carta da giocare, vale a dire il credito che la Robinson vanta con la fortuna, e che stavolta volge a suo favore allorché le tedesche, con Emmy Albus in prima frazione, Kathe Krauss in seconda e Marie Dollinger in terza, prendono un netto margine di vantaggio apparentemente incolmable che le porrebbe nella condizione di poter gestire al meglio l’ultimo cambio tra la Dollinger e la Dorffeldt, salvo perdere inopinatamente il testimone così da consentire alla Stephens di tagliare per prima il traguardo per la sua personale doppietta ed alla Robinson di mettersi al collo quell’Oro in staffetta sfuggitole ad Amsterdam.

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Il quartetto Usa sul podio della 4×100 – da wikimedia.org

Ritiratasi dalle scene, la Robinson non abbandona l’amata pista divenendo una cronometrista e, per una che aveva rischiato di perdere la vita a nemmeno 20 anni, la stessa le si prolunga sino a quasi 88, spengendosi a Denver il 18 maggio 1999, purtroppo sofferente nell’ultimo periodo del morbo di Alzheimer, potendo comunque essere a giusta ragione considerata una delle protagoniste dell’atletica leggera del XX secolo.

 

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