IL MIRACOLO DI PITTERA E DELL’ITALIA DEL VOLLEY AI MONDIALI DI ROMA 1978

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La nazionale italiana di pallavolo ai Mondiali di Roma del 1978 – da volleyball.it

articolo di Giovanni Manenti

Se c’è uno sport di squadra che, a livello di nazionale, ha dato le maggiori soddisfazioni agli sportivi italiani negli ultimi 30 anni questo è indubbiamente la pallavolo maschile in quanto – a dispetto della maledizione olimpica, dove ha raccolto tre argenti ed altrettanti bronzi – può vantare qualcosa come tre titoli mondiali, sei Europei, otto World League ed altri tornei vari.

E, se ci si domanda chi siano gli artefici di queste imprese, oltre al tecnico argentino Julio Velasco, i nomi son sempre i soliti, da Andrea Lucchetta a Fabio Vullo, da Lorenzo “Lolo” Bernardi ad Andrea Zorzi, da Andrea Giani a “Paolino” Tofoli, da Luca Cantagalli ad Andrea Gardini e via dicendo, sino ai protagonisti degli ultimi anni, capaci di salire sul podio olimpico sia a Londra 2012 (bronzo) che a Rio 2016 (argento).

Questi successi sono andati di pari passo con i trionfi delle singole squadre di club, capaci di interrompere l’egemonia del CSKA Mosca, dapprima con i successi della Santal Parma a metà anni ’80 e poi facendo della Coppa dei Campioni maschile un fertile terreno di conquista che ha visto primeggiare per nove anni consecutivi – dal 1992 al 2000 – le varie Modena, Ravenna e Treviso.

Bisogna però aver largamente superato i cinquant’anni per ricordarsi che il seme di questi trionfi era stato gettato in un’epoca che, se definirla pionieristica è forse un tantino azzardato, di sicuro non vedeva certo il volley azzurro primeggiare a livello internazionale – sia in campo europeo che, tantomeno, mondiale – anche a causa della disorganizzazione e dell’approssimazione a livello federale, dove eravamo anni luce indietro rispetto alle altre potenze pallavolistiche.

Non occorre andare troppo indietro rispetto al primo successo dell’era Velasco, vale a dire l’Europeo di Svezia 1989, quando undici anni prima, 1978, all’Italia spetta l’organizzazione della IX edizione dei Campionati Mondiali, manifestazione inaugurata nel 1949 a Praga e che aveva sinora visto quattro successi dell’Unione Sovietica, due della Cecoslovacchia ed uno a testa di Germania Est e Polonia, con gli azzurri che, a parte un ottavo posto nell’edizione inaugurale – a cui avevano peraltro partecipato solo 10 squadre – si erano sempre classificati tra la 14.ma e la 16.ma posizione, con addirittura un deludentissimo piazzamento al 19.mo posto quattro anni prima a Città del Messico.

Non molto meglio le cose erano andate in sede olimpica, dove la pallavolo viene inserita nel programma a cinque cerchi dai Giochi di Tokyo 1964, con l’Italia che vi partecipa solo nell’edizione di Montreal 1976 dove conosce solo sconfitte e raccoglie appena due set nella gara persa per 2-3 contro il Brasile, subendo pesanti rovesci contro Urss (6-15, 3-15, 6-15), Giappone (6-15, 2-15, 6-15) e Cecoslovacchia (7-15, 8-15, 7-15).

Roba da andare a nascondersi per la vergogna, e che non depone certo a favore sull’esito dei Mondiali da organizzare appena due anni dopo nel nostro paese, con la federazione che cerca di rimediare puntando sulla guida tecnica, sostituendo Anderlini dopo il disastro olimpico, dapprima con Pavlica e quindi con il polacco Edward Skorek, campione olimpico e mondiale con la nazionale del suo paese ed allenatore-giocatore della Panini Modena.

Skorek accetta l’incarico, solo per disamorarsi per la superficialità ed il pressapochismo registrato a livello organizzativo, abbandonando a fine maggio per andarsene a giocare nel campionato professionistico Usa, e la federazione, a soli tre mesi dall’inizio della rassegna iridata, decide di puntare sul non ancora 34enne catanese Carmelo Pittera, il quale aveva appena condotto la Paoletti Catania al primo storico titolo di campione d’Italia per una compagine siciliana.

Il tempo stringe, ad inizio giugno è in programma un torneo a Sofia e Pittera ottiene dalla federazione l’accoglimento delle sue richieste, vale a dire un contratto triennale sino ai Giochi di Mosca 1980, l’assunzione come “secondo” del suo vice alla Paoletti, Nino Cuco, e la possibilità di continuare a svolgere il doppio incarico di tecnico della nazionale e del suo club di appartenenza.

L’impegno assunto da Pittera di costruire in soli tre mesi una formazione competitiva per una manifestazione così importante come un Mondiale appare titanico, ma il combattivo catanese non è tipo da perdersi d’animo di fronte alle difficoltà ed inizia con due allenamenti giornalieri (cosa ma vista sino ad allora), nonché con la partecipazione a diversi tornei per valutare lo stato dei giocatori, dai quali se ne esce con l’assunzione di una decisione che fa scalpore, vale a dire l’esclusione dalla rosa per i Mondiali dei “senatoriMattioli e Salemme, tesserati per la Federlazio Roma, cosa che fa imbufalire il dirigente Ammannito, dato che la manifestazione si svolge proprio nella capitale.

Ma Pittera va per la sua strada, intuisce che per poter combinare qualcosa di buono deve affidarsi ad atleti che conoscono il suo modo di lavorare e quindi perché non sfruttare lo zoccolo duro della sua Paoletti Catania che ha appena conquistato lo scudetto, e, difatti, inserisce nei dodici selezionati ben cinque – Alessandro, Concetti, Greco, Nassi e Scilipoti – neo campioni d’Italia, con l’aggiunta di Innocenti e Lazzeroni del Cus Pisa (con cui, fino a tre anni prima, giocava Fabrizio Nassi) e formando il sestetto titolare con “Pupo” Dall’Olio in regia, opposto a Di Bernardo, Negri e Di Coste sono gli schiacciatori di banda e Nassi e Lanfranco i centrali, con Greco pronto a rilevare Di Coste ed Alessandro Dall’Olio per alzare il muro in fase di ricezione.

Con queste premesse, l’Italia si presenta al Mondiale, al quale sono iscritte ben 24 squadre, inserita nel gruppo A insieme a Belgio, Cina ed Egitto – compagine, quest’ultima, che evoca tristi ricordi per la sconfitta per 2-3 subita in Messico nel 1974 che determinò il 19.mo posto degli azzurri – un girone effettivamente non irresistibile ed ideale per entrare nel clima della competizione.

Ed, in effetti, il sestetto di Pittera si scrolla subito di dosso l’emozione rifilando due secchi 3-0 sia al Belgio (parziali di 15-6, 15-5 e 15-1) che all’Egitto (15-5, 15-4, 15-9), giocandosi quindi con la Cina il primo posto del girone, utile per trovare accoppiamenti più abbordabili nella seconda fase.

E qui entra per la prima volta in gioco il pubblico del Palaeur romano, che aiuta gli azzurri a superare la crisi che li attanaglia dopo aver vinto il primo set 15-8, perdendo il secondo parziale 6-15 e trovandosi sotto per 4-11 nel terzo, quando Pittera azzecca il cambio di Alessandro per Dall’Olio, l’alzatore della Paoletti indovina due muri vincenti che ridanno fiducia al gruppo mentre gli asiatici sembrano paralizzati e, dopo essersi aggiudicati il set per 15-11 (con un parziale di 11-0 a loro favore!) tra le ovazioni dei presenti, il quarto parziale diviene una formalità per il 15-10 che chiude il match sul 3-1 e vede l’Italia concludere al primo posto del girone.

La formula della manifestazione prevede due successivi gironi a sei squadre, dove accedono le prime due classificate di ogni raggruppamento, portandosi dietro il risultato ottenuto nella prima fase, e l’Italia è opposta, oltre che alla Cina, ovviamente, ad Urss e Brasile (promosse dal gruppo C) e a Bulgaria e Germania Est (promosse dal gruppo E), tutte squadre che in passato hanno sempre battuto nettamente gli azzurri e, pertanto, riuscire a classificarsi in uno dei primi due posti che danno l’accesso alle semifinali incrociate, appare davvero come un qualcosa di estremamente problematico.

Come sempre in questo genere di manifestazioni, la prima gara è quella più delicata e l’Italia è opposta al Brasile, il quale, con un superbo William da Silva in regia ed il “martello” Rajzman ad imperversare in attacco, si porta sul 2-1 (parziali 16-14, 12-15, 15-10 a favore dei verdeoro) solo per vedersi raggiungere dagli azzurri che vincono il quarto set restituendo agli avversari il 15-10 del terzo, ma poi vanno sotto 10-14 nel quinto e decisivo parziale, nonostante il tifo infernale proveniente dagli spalti del Palaeur, gremito da 10.000 spettatori (quando per le finali scudetto a mala pena si raggiungevano le duemila presenze), riuscendo però a riordinare le idee e soprattutto a migliorare in difesa riuscendo a capovolgere la situazione nel 17-15 in loro favore grazie soprattutto ad un Negri in gran spolvero.

Il cosiddetto ghiaccio è rotto e nei successivi due incontri l’Italia non lascia scampo né alla Germania Est, sconfitta 3-1 con un solo rilassamento nel terzo set, ma con parziali eloquenti (15-8, 15-7, 15-17, 15-5) circa la superiorità del sestetto azzurro, né tantomeno alla Bulgaria, superata con un netto 3-0, anche in questo caso confermato dai parziali (15-9, 15-6, 17-15), con ciò qualificandosi per la semifinale quale seconda del girone, nulla potendo contro la fenomenale Unione Sovietica che, nell’ultimo match, travolge il sestetto di Pittera con un perentorio 3-0 (15-11, 15-6, 15-3).

Avversaria dell’Italia è Cuba, anch’essa – al pari dell’Unione Sovietica – imbattuta nell’altro girone, pur avendo dovuto sudare più del previsto per superare 3-2 sia Cecoslovacchia che la Corea del Sud, con quest’ultima che soffia il secondo posto ai campioni mondiali ed olimpici in carica della Polonia, sconfiggendoli 3-1 nel confronto diretto.

Il sogno degli asiatici si spegne di fronte all’Armata Russa, che li distrugge con un 3-0 sancito dai parziali impietosi di 15-3, 15-3 e 15-9, incontro al termine del quale scendono in campo Cuba ed Italia, con gli azzurri nell’invidiabile condizione di non aver nulla da perdere, avendo già raggiunto un traguardo assolutamente impensabile alla vigilia, e lo stesso Pittera ammette che “ormai il più è fatto, siamo andati ben oltre, possiamo romperci anche un bracco, ma non serve” e, poi, quasi a rincarare la dose, “la pallavolo è matematica e, per battere Cuba, due più due dovrebbe fare cinque!“.

Che sia stata o meno una tattica per togliere pressione ai suoi ragazzi, fatto sta che quando le due squadre scendono in campo il Palaeur è stracolmo come non mai, con 18.000 (!!!) spettatori presenti, una cifra mai vista prima d’ora in un palazzetto italiano, che però capiscono come le loro speranze siano vane quando i caraibici, trascinati dal solito, spietato, Ernesto Martinez, scappano via sul 9-0 nel primo set, speranze che si riaccendono in un amen quando sono gli azzurri, a loro volta, a piazzare un analogo parziale per il pari a quota 9, proseguendo poi punto a punto per soccombere 15-17.

Ma la reazione dell’Italia ha oramai infiammato il pubblico che all’unisono incita i propri beniamini che, a propria volta, si portano sull’8-0 nel secondo parziale, contenendo poi il ritorno di Cuba per aggiudicarsi il set sul 15-11 e riportare le sorti dell’incontro in parità, facendo capire a pubblico ed avversari che il “pass” per la finale non sarà quella formalità da tutti prevista alla vigilia.

Le due compagini lottano ora da pari a pari, non vi è più alcuna sudditanza psicologica nei confronti dei più quotati rivali e, con il sostegno di un tifo assordante e con Pittera che azzecca i cambi inserendo Scilipoti e Lazzeroni – il quale, alla sua sola 21esima presenza in nazionale, sciorina tutto il meglio del proprio repertorio alzando ogni palla, difendendo e murando da campione – gli azzurri si aggiudicano per 16-14 il terzo set e si portano sul 14-12 nel quarto quando tocca proprio al siciliano Scilipoti mettere il punto esclamativo su quella che, sino a quel momento, è la più grande impresa compiuta dall’Italia del volley, la conquista della finale mondiale.

Il giorno seguente, 1 ottobre 1978, ci pensa l’Unione Sovietica, con l’eccezionale palleggiatore Vjaceslav Zaytsev (padre di Ivan, attuale nazionale azzurro) e l’immenso centrale Aleksandr Savin a far tornare l’Italia sulla terra, in una finale in cui il pubblico si illude che possa compiersi un ennesimo miracolo solo nel secondo set, quando gli azzurri conducono per 13-7 per poi cedere 13-15 e quindi crollare, più di testa che di gambe, nel terzo e conclusivo set per il 3-0 (parziali di 15-10, 15-13, 15-1) che consegna all’Urss il quinto titolo mondiale della sua storia.

L’impresa di Pittera e dei suoi ragazzi – il cui gruppo verrà ribattezzato “Gabbiano d’Argento” – resta nella storia dello sport azzurro come una delle più memorabili perché talmente inaspettata alla vigilia, tanto che il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, da sempre sensibile a questo genere di eventi, nomina gli stessi Cavalieri per Meriti Sportivi e, a questo punto, tanto vale elencare chi siano stati i “Cavalieri che fecero l’impresa“: Alessandro (Paoletti Ct), Concetti (Paoletti Ct), Dall’Olio (Panini Mo), Di Bernardo (Edilmar Cesenatico), Di Coste (Accademia Sport Roma), Greco (Paoletti Ct), Innocenti (Cus Pisa), Lanfranco (Klippan To), Lazzeroni (Cus Pisa), Nassi (Paoletti Ct), Negri (Edilcuoghi Sassuolo) e Scilipoti (Paoletti Ct). All. Carmelo Pittera.

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