CHARLY GAUL, L’ANGELO DELLA MONTAGNA NELL’INFERNO DEL BONDONE

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Charly Gaul in azione – da lavocedelnordest.eu

articolo tratto da GPM Ciclismo

Molte volte abbiamo parlato del ciclismo come di uno sport terribilmente e affascinatamente estremo. La fatica, il sudore e lo sforzo immane richiesto per affrontare le salite più dure. A tutto questo, poi, va ad aggiungersi anche la natura. Nessuno può essere, in alcuni casi, tanto più crudele quanto la natura.

Ne è un esempio ciò che accadde l’8 giugno 1956. Mancano tre giorni al termine della trantanovesima edizione del Giro d’Italia. In maglia rosa c’è Pasqualino Fornara. In 24^ posizione, con 17 minuti di ritardo, c’è un piccolo scalatore lussemburghese. Il suo nome è Charly Gaul. Il ragazzo è ancora giovane, ha 23 anni. Troppo pochi, forse, per conoscere l’inferno. Eppure quel giorno Gaul ebbe il coraggio di affrontarlo, l’inferno.

La tappa in programma quel giorno parte da Merano e si conclude sul Monte Bondone, in Trentino. Tappa da scalatori: Passo Rolle, Colle Brochon e Bondone, appunto. Alla partenza c’è freddo e pioggia. I corridori in gara sono ancora 87. Ognuno di loro ha il timore di quello che li attende: le difficoltà altimetriche ma, soprattutto, il tempo inclemente. Ma nessuno sa ancora che li aspetterà una delle giornate più leggendarie e drammatiche della storia del ciclismo.

Sul Passo Rolle la pioggia inizia a diventare grandine. I materiali tecnici di oggi erano un’utopia per l’epoca. I corridori erano in maglia di lana a maniche corte e pantaloncini corti. L’inseparabile giornale era l’unico modo per ripararsi dal freddo e dal vento gelido di quell’inizio estate che, in quelle zone e a quelle latitudini, faceva fatica a sbocciare. In discesa, poi, la situazione era insostenibile. I corridori erano quasi congelati, si coprivano con tutto quello che trovavano per strada, mantelline, giornali e rimedi di fortuna.

Sul Brochon soffia un vento gelido che quasi respinge i corridori; il gelo che entra nelle ossa, le maglie diventate pesantissime dopo l’acqua presa fino a quel momento, le mani gelate che facevano fatica a poggiarsi sul manubrio. Una situazione estrema. E da scalare c’è ancora il terribile Monte Bondone: una mulattiera di 20 km, 39 tornanti, il fango e la neve a farla da padrone. Sul Bondone la grandine diventa neve. La situazione è diventata drammatica. Degli 87 corridori partiti da Merano se ne sono ritirati, lungo il percorso, ben 44; tra di essi c’è anche la maglia rosa Fornara. Fu il suo direttore sportivo a fermarlo; dopo la corsa il direttore disse di non poter più vedere il leader della generale soffrire in quel modo, così ordinò a Fornara di ritirarsi.

Fino ai piedi del Bondone è proprio Charly Gaul ad essersi messo in mostra; il lussemburghese scollinò per primo sul Rolle e sul Brochon con ben 5 minuti di vantaggio sul secondo. Iniziò il Bondone da padrone assoluto della gara. Così giovane e già a suo agio sotto quell’inferno di neve e vento.

Il Bondone che assume i contorni di un palcoscenico di dolore e sofferenza, 43 eroi su di una bici a sfidare la natura e sè stessi. La lotta non è più contro i rivali. La lotta non è più per la maglia rosa bensì per la sopravvivenza. Le temperature scendono sotto lo zero, lo sforzo è estremo. Eppure Gaul sale come un missile, con la soffrenza di un uomo piombato nell’inferno, con la grinta del campione che stava nascendo dentro di lui.

Un ragazzino venuto dal piccolo Lussemburgo che trionfa sul Bondone, più forte della neve e del gelo, più forte della natura. Uno scalatore minuto che diventa un gigante della storia del ciclismo. Gaul è divenuto il simbolo di quel ciclismo estremo che mette alla prova l’uomo prima del campione; il talento, almeno per una volta, passa in secondo piano scalzato dalla grinta e dal coraggio. L’impresa sul Bondone è servita; senza paura ma solo con la voglia di non arrendersi mai.

Altri eroi sono riusciti ad arrivare al tragurdo; tra di essi ricordiamo un altro leone del ciclismo, ovvero Fiorenzo Magni, il Leone delle Fiandre. Magni arrivò terzo a 12 minuti con una spalla rotta mordendo un tubolare per alleviare quel dolore divenuto ancora più forte per via dello sforzo di quella tappa e per le condizioni estreme in cui si è dovuto correre.

Una giornata da uomini veri insomma. Una tappa dove il ciclismo è diventato un’arte nobile, capace di tirar fuori da ogni corridore tutti i propri valori. Perchè senza di essi non si può mai arrivare al traguardo.

Charly Gaul, dopo aver tagliato per primo il traguardo, non riesce nemmeno a muoversi, è paralizzato dal freddo, semi assiderato. Non riesce neppure ad aprire la bocca. Nessun gesto di vittoria, nessuna parola per commentare quell’impresa. Ed in effetti le parole dicono poco; dietro quello sguardo perso nel vuoto di Gaul si nasconde un’emozione bellissima, la stessa che ha regalato a tutti gli amanti del ciclismo. Learco Guerra, all’epoca direttore sportivo della Faema, la squadra di Gaul, infilò i piedi del lussemburghese in due mastelli d’acqua bollente e lo coprì con una coperta. Solo dopo mezz’ora Gaul riuscì a riprendersi e a proferire parola. Al traguardo il termometro segnava meno dieci gradi, la neve superava i 40 cm. Con questi dati si può spiegare solo in parte le difficoltà di Charly al termine della tappa.

Gaul, dopo l’impresa del Bondone, conquistò la maglia rosa portandola fino al Vigorelli di Milano. A 23 anni aveva vinto il Giro, più con il cuore che con le gambe, perchè solamente con il cuore possono scriversi pagine di storia come quella da lui scritta l’8 giugno 1956. Charly Gaul divenne per tuttil’angelo della montagna“, più forte di tutti e di tutto, più forte della natura.

In suo onore ogni anno si corre la “Leggendaria Charly Gaul” Trento-Monte Bondone, una gara che vuole rendere omaggio a chi sul Bondone ha scritto la storia, a chi sul Bondone ha sfidato l’inferno, a chi sul Bondone è diventato una leggenda: Charly Gaul, per tutti l’angelo che ha battuto l’inferno.