LA “SETTIMANA DA DIO” DI MAURO GIANETTI TRA AMSTEL E LIEGI 1995

articolo di Nicola Pucci

Mauro Gianetti, ticinese classe 1964 nato a Lugano, non può certo annoverarsi nella ristretta cerchia dei fuoriclasse del pedale. Tantomeno, affrontò l’avventura tra i professinisti con le stimmate del predestinato. Ma fu corridore tenace, coraggioso e tuttavia dotato di doti non comunissime, fosse solo per la capacità di farsi trovare al posto giusto al momento giusto, quanto bastasse per non lasciarsi sfuggire l’occasione propizia.

Come in quella settimana d’aprile del 1995, quando, seppur ormai 31enne, vestendo i colori del Team Polti di Gianluigi Stanga, andò a prendersi due classiche di prestigio, Amstel Gold Race e soprattutto Liegi-Bastogne-Liegi, la “Doyenne” (la “Decana“), classica-monumento che eleva chi sa domarla al rango di campione.

Non che fino a quel momento la carriera di Gianetti, iniziata tra i “grandi” nel 1986 in maglia Cilo-Aufina, fosse stata impreziosita da chissà quali risultati. Il successo nella gara di casa, il Gran Premio di Lugano, all’esordio, la Nordwest-Schweizer-Rundfahr nel 1989, quando si impose anche in una tappa del Tour of Britain, e le due perle alla Coppa Placci e alla Milano-Torino nel 1990, indubbiamente il suo anno migliore. E poi qualche buon piazzamento nelle classiche, che rimangono il suo terreno di caccia preferito, perché è veloce ma non velocissimo, scala bene ma le montagne troppo lunghe gli sono indigeste, e sul passo non è proprio un drago. Ergo, se per le corse a tappe non è adattissimo, collezionando comunque un 17esimo ed un 13esimo posto alla Vuelta, nel 1995 e nel 1996, può giocarsi qualche carta interessante nelle corse di un giorno, come certificano il quinto posto al Mondiale di Renaix del 1988, il quinto posto anche all’Amstel Gold Race del 1989 e il nono posto al Giro di Lombardia del 1994.

Quando la stagione 1995 va ad iniziare, ad onor del vero, Gianetti manca di salire sul gradino più alto del podio proprio dal 1990, ad eccezione della Coira-Arosa del 1994, corsa in salita elvetica non di gran lignaggio, e se i panni del gregario, seppur di lusso, gli calzano a pennello, dopo un primo anno “italiano” nel 1987 con la Paini-Bottecchia di Dino Zandegù e l’esperienza del 1994 in casa Mapei, ecco che Stanga, l’uomo a cui si deve l’esplosione di Gianni Bugno, gli affida i gradi di luogotenente per l’annata in corso, venendone ripagato come forse il team manager non avrebbe davvero osato sperare.

Che Gianetti sia in forma se ne ha prova il 12 aprile quando sullo strappo di Huy che decreta l’arrivo della Freccia Vallone ottiene un eccellente quinto posto, terminando in scia a Francesco Casagrande ed alle spalle del terzetto che si gioca la vittoria, il trionfante Laurent Jalabert, il suo delfino Maurizio Fondriest ed Evgenij Berzin, l’ultimo vincitore del Giro d’Italia.

Quattro giorni dopo, 16 aprile, gli stessi protagonisti sono attesi sulle strade della classica-monumento più antica, appunto la Liegi-Bastogne-Liegi, e se tutti gli occhi sono puntati su Jalabert che è l’indiscusso favorito, lo stesso Bugno, un promettentissimo Michele Bartoli e lo spauracchio Lance Armstrong completano l’elenco dei favoriti alla successione, proprio, di Berzin, che dodici mesi prima sbaragliò il campio alla prima partecipazione alla “Doyenne” chiudendo con 1’37” di vantaggio sull’americano della Motorola.

Piove e fa un freddo cane, lungo i 261 chilometri della regina delle classiche delle Ardenne. E se i ritiri si susseguono, lo stesso Gianetti pare in difficoltà prima che un sorso di cognac, gentilmente offertogli da Stanga che gli passa una borraccia apparentemente vuota, lo rimetta in sesto, garantendogli le necessarie energie per affrontare il finale di corsa. E qui il ticinese piazza l’acuto che non ti aspetti, rimanendo prima al gancio di Bugno e Bartoli, che sulla Redoute hanno operato la selezione decisiva, insieme ad Armstrong, Jalabert e Casagrande, piantandoli poi in asso alle porte di Liegi, su quel lungo strappo in contropendenza di Ans, conservando infine all’arrivo un margine di 15″ che lo eleggono campione.

Sei giorni dopo, il 22 aprile, Gianetti si allinea al via anche dell’Alstel Gold Race, che chiude il trittico delle classiche vallonate. E lo fa con tutto l’entusiasmo prodotto dal successo alla Liegi, sentendosi ora sì pronto a giocarsela alla pari con i migliori.

Al solito sono da scavallare un discreto numero di brevi ma secche ed insidiose asperità, ben 25, disseminate lungo 250 chilometri di fatica. E quando l’acido lattico indurisce i muscoli ed annebbia i riflessi, Gianetti, a cui non fanno difetto fondo e resistenza, rispondendo con Stefano Cattai ad un allungo di Jim Van de Laer, a cui si agganciano Davide Cassani, alfiere della MG Maglificio, Beat Zberg, Jens Heppner e Laurent Madouas, si isola solo al comando, sfruttando con uno scatto perentorio le pendenze carogna al 16% della Côte de Hallembaye. L’attuale commissario tecnico della Nazionale italiana rinviene su di lui in discesa ed allora, con 10 chilometri da coprire ancora, Gianetti e Cassani se ne vanno di comune accordo fino al traguardo di Maastricht. E se in volata l’azzurro parrebbe il più veloce, astutamente Gianetti gli prende la ruota, resiste ed infine lo infila in prossimità della linea bianca.

Cotanta grazia, ovvero un quinto posto e due vittorie, con l’aggiunta di un altro quinto posto alla Japan Cup di fine stagione, varranno a Mauro Gianetti la terza piazza nella classifica generale di Coppa del Mondo del 1995. E se al Mondiale di Duitama, quarto, e a quello dell’anno successivo, 1996, sulle strade di casa di Lugano, secondo battuto solo da Johan Museeuw, il ticinese confermerà che quella “settimana da Dionon fu un caso, è bastato solo saper aspettare il treno giusto. Perché se si ha tempra, coraggio ed astuzia, prima o poi quello passa, eccome se passa.