NICOLINO LOCCHE, IL PUGILE CHE SCHIVAVA I COLPI E DIVENTO’ CAMPIONE DEL MONDO DEI SUPERLEGGERI

articolo di Nicola Pucci

Desta curiosità il nome di Nicolino Locche, all’atto di sfogliare l’enciclopedia della boxe che racconta le gesta dei suoi campioni più affermati. Perché se è vero che aveva sangue sardo nelle vene, sesto figlio di Felipe e Nicolina che da Villasor, alle porte di Cagliari, nel primo dopoguerra andarono a cercare fortuna di là dall’Atlantico, vide la luce a Tunuyán, il 2 settembre 1939, in Argentina ed in quella provincia di Mendoza che alla fine di una carriera davvero non comune lo eleggerà cittadino onorario. Perché a furia di tirar colpi, ma soprattutto di saperli schivare, sarà capace di salire sul tetto del mondo.

Già, perché Nicolino, che entra in palestra per la prima volta ad 8 anni iniziando a boxare a 9 sotto l’attenta guida di Francisco Mora Bermudez, detto “Paco“, che sarà suo allenatore e manager per tutta la carriera, e che da dilettante perde solo 5 incontri a fronte di ben 122 vittorie, passando professionista nel 1958, per le sue abilità difensive e i riflessi straordinari, con lo spostamento a volte millimetrico del busto, con la torsione improvvisa del collo, con la maniera di piegare le braccia, che gli consentivano di sottrarsi ai colpi portati dagli avversari, si meritò l’appellativo di “el intocable. E mai etichetta fu più appropriata, proprio nel giorno che lo proclamerà campione del mondo dei superleggeri, assurgendo al rango di eroe come, tra i pugili argentini, solo Carlos Monzon seppe fare.

L’attività pugilistica di Locche procede per gradi, con il titolo argentino dei leggeri nel 1961 sconfiggendo ai punti dopo 12 riprese serrate Jaime Gine e, nel 1963, il titolo sudamericano battendo, sempre per verdetto dei giudici e al Luna Park di Buenos Aires, il brasiliano Sebastião Nascimento, che si arrende in 15 riprese altrettanto combattute. E se con Abel Laudonio dà vita ad una sfida in due atti che lo vede soccombere in campo nazionale per affermarsi invece a livello continentale, il 18 dicembre 1965 sconfigge Hugo Rambaldi, impossessandosi per l’ultima volta del titolo di campione argentino dei pesi leggeri.

In verità il cammino agonistico di Locche non emigra mai oltre i confini patrii, incrociando i guantoni anche con pugili del calibro del panamense Ismael Laguna e del portoricano Carlos Ortiz, detentori del titolo dei pesi leggeri, dell’azzurro Sandro Lopopolo, a sua volta campione del mondo in carica dei superleggeri, degli americani Langston Morgan ed Eddie Perkins e del messicano Alfredo Urbina, tutti costretti ad arrendersi al suo pugilato fatto più di rinunce che di attacchi, ed allora, il 12 dicembre 1968, è tempo per la prima volta di espatriare, in palio proprio il titolo mondiale WBA dei superleggeri da contendersi, al Ryōgoku Kokugikan di Tokyo, al temutissimo, nonché fortissimo Paul Takeshi Fuji, di origini hawaiane, pugile noto per la sua aggressività. Un vero e proprio guerriero del ring.

Ed al cospetto di oltre 10.000 appassionati, attoniti per lo spettacolo che si delinea sotto i loro occhi, Locche non deroga davvero dal suo credo pugilistico, ovvero “primo non prenderle“, e se col pugno, non certo di quelli da far tremare gli avversari, offende comunque il volto del nippo-americano, ecco che eludere i colpi di Fuji con mosse da ballerino del ring è un’arte in cui l’argentino è tanto abile da esasperare il detentore del titolo al punto da costringerlo, esausto, al ritiro alla decima ripresa.

Nicolino Locche sale sul tetto del mondo, e non sarà davvero neanche l’ultima volta, perché poi difende il titolo a cinque riprese, sempre all’arena del Luna Park di Buenos Aires e sempre vincendo tutti gli incontri ai punti in quindici round. Sconfigge uno dopo l’altro il venezuelano, ex-campione del mondo, Carlos Hernandez (che aveva battuto lo stesso Perkins), i futuri avversari di Bruno Arcari, il brasiliano João Henrique e lo spagnolo Domingo Barrera Corpas, lo statunitense Adolph Pruitt de il colombiano Antonio Cervantes, futuro campione del mondo WBA. Toccherà poi al panamense Alfonso Frazer, il 10 marzo 1972 davanti al pubblico amico del Gimnasio Nuevo Panamá, buttarlo giù dal trono, battendolo ai punti, così come un ultimo tentativo di riconquista della cintura iridata naufragherà contro lo stesso Cervantes, che il 17 marzo 1973, al Maestranza César Girón di Maracay, in Venezuela, gli infliggerà l’unica sconfitta prima del limite in carriera, k.o.t. alla nona ripresa.

Battuto sul ring, come lo sconfiggerà anche il fumo delle sigarette, irrinunciabili compagne di vita anche a bordo ring, tra una ripresa e l’altra, in barba alle regole sanitarie che imporrebbero un regime d’atleta, decretandone la morte a 66 anni per complicanze polmonari.

Nient’altro che virtù e vizi di Nicolino Locche, pugile di mestiere, che meglio di ogni altro espresse il concetto che “il miglior attacco è la difesa“.

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