LO SCUDETTO 1991 CORONA IL “PERIODO D’ORO” DELLA JUVECASERTA BASKET

La Juvecaserta festeggia lo scudetto 1991 – da repubblica.it

articolo di Giovanni Manenti

La pallacanestro, nel Belpaese, è sport di competenza pressoché esclusiva delle società del nord Italia, laddove di consideri che, fatti salvi i quattro titoli conquistati dalla “Ginnastica Roma” nel periodo 1928-1935, epoca pionieristica della disciplina, occorre attendere quasi 50 anni affinché lo scudetto torni nella capitale, grazie alla Virtus Banco Roma che si impone nel 1983.

Ancora più a sud poco o niente, con la sola Partenope Napoli a vivere il suo “momento di gloria” a fine anni ’60, periodo che la vede giungere seconda in campionato nel 1968 e terza la stagione seguente, oltre ad aggiudicarsi l’edizione 1968 della Coppa Italia e quella 1970 della Coppa delle Coppe.

Club che poi esce di scena nel 1977, cedendo il proprio titolo sportivo alla Napoli Basket che non riuscirà in seguito a ripercorrerne il cammino, così che la Campania deve attendere circa un decennio per poi avere un’altra importante realtà di cui “innamorarsi”, la quale rappresenta il punto più alto nella storia della pallacanestro della regione.

Nata nel 1951, la Juvecaserta – la cui denominazione deriva dal tifo per la squadra bianconera da parte di Santino Piccolo, uno dei soci fondatori e general manager – resta per 20 anni nell’anonimato delle serie minori, sino a che nel 1971 ne assume la presidenza l’imprenditore edile locale Giovanni Maggiò, grazie al quale il quintetto casertano inizia a crearsi uno spazio nel panorama nostrano, militando per un quinquennio in Serie A2.

La svolta giunge nell’estate 1982, allorché il general manager Giancarlo Sarti, da due anni nel ruolo, convince dapprima la Indesit a fare da sponsor e quindi il tecnico jugoslavo Bogdan Tanjevic – reduce dall’aver conquistato due titoli nazionali e la Coppa dei Campioni 1980 con il Bosna Sarajevo e raggiunto la finale degli Europei 1981 alla guida della Nazionale – ad assumere la conduzione tecnica.

Scelta quanto mai azzeccata, visto che già al primo anno in panchina, il tecnico montenegrino – che si porta dietro l’oramai 33enne playmaker Zoran Slavnic, all’ultima stagione della propria luminosa carriera – conquista la prima, “storicapromozione in A1 per Caserta, grazie anche alle prestazioni di un giocatore che ne farà la storia, vale a dire il brasiliano Oscar Schmidt, “pescato” da Sarti in Sudamerica – mentre tutti gli altri club si orientavano pressoché esclusivamente verso il mercato Usa – su segnalazione dello stesso Tanjevic che ne era rimasto impressionato in una gara di Coppa Intercontinentale.

Detto fatto, ecco Caserta sbarcare nell’elite del basket italiano, essendosi nel frattempo dotata di un palazzetto passato alla storia per essere stato edificato in soli 100 giorni e che diviene ben presto “terra di difficile conquista” per ogni quintetto che voglia espugnarlo.

L’approccio nella massima serie vede la progressiva crescita del club campano – trascinato in regia dall’idolo di casa Ferdinando “Nando” Gentile che Tanjevic fa esordire addirittura 15enne nel torneo di A2, per poi passargli il testimone lasciato da Slavnic –, che conclude la prima stagione in ottava posizione, per poi migliorarsi nel 1985 con il quinto posto conclusivo e le semifinali playoff dopo aver eliminato 2-0 Varese nei quarti.

Con oramai il vertice nel mirino, ecco che Caserta compie l’atteso “salto di qualità” nel biennio seguente, che la vede disputare entrambe le finali dei playoff scudetto, ancorché debba in tutte e due le occasioni arrendersi di fronte a Milano di Dan Peterson, Mike D’Antoni e Dino Meneghin.

Nel 1986, piazzatasi terza in una “regular season” dominata dalla Simac, Caserta – con Oscar “top scorer” con 30,7 punti di media, titolo replicato l’anno seguente salendo a quota 33,7 – raggiunge l’atto conclusivo dopo aver eliminato con un doppio 2-0 Varese (104-77 e 97-86) ai quarti e Cantù (114-110 e 89-74) in semifinale, ma lo scoglio contro l’Olimpia diviene insormontabile, nonostante l’affermazione in gara-2 per 115-105 sul parquet amico, con i lombardi ad imporsi nelle due sfide al “Palalido”.

Quintetti che si dimostrano i più a loro agio nei playoff anche la stagione seguente, visto che Milano conclude quarta e Caserta addirittura sesta il campionato, con i campani – abbinati “Mobilgirgi” come l’anno precedente, ma con la variante del cambio in panchina, affidata a Franco Marcelletti dopo che Tanjevic aveva accettato l’offerta di Trieste – a replicare il 2-0 stavolta contro Bologna (90-78 e 101-97) ai quarti ed ancora contro Cantù (111-107 e 101-88) in semifinale, mentre la finale, per la prima volta disputata al meglio delle cinque partite, non ha storia, con l’Olimpia – rinforzata dall’acquisto della stella NBA Bob McAdoo – a chiudere la serie sul 3-0 (90-85, 99-90 ed 84-82).

Una “maledizione”, quella delle sconfitte in finale, che per la Juvecaserta si estende anche nelle coppe, visto che raggiunge l’atto conclusivo dell’edizione 1986 della Coppa Korac, dove si arrende (84-78 e 73-72) al Banco di Roma (dopo essere già stata sconfitta 80-78 dalla Virtus Bologna in Coppa Italia nel 1984), ma tutto ciò passa in sott’ordine rispetto all’improvvisa scomparsa di Giovanni Maggiò ad inizio ottobre 1987 a soli 58 anni.

A raccoglierne l’eredità provvede il figlio 31enne Gianfranco, mentre in squadra cresce un altro talento locale, ovvero il 18enne Vincenzo Esposito che, assieme a Gentile ed al livornese Sandro Dell’Agnello, va a comporre lo “zoccolo duro” del trio di italiani, regalando alla memoria del patron, a cui viene intitolato l’impianto di gioco, divenuto “Palamaggiò”, il primo trofeo nella storia del club, vale a dire superando il 23 marzo 1988 a Bologna la Divarese Varese per 113-100 nella finale di Coppa Italia.

In campionato il cammino, nonostante il quarto posto a fine stagione, si arena ai quarti dei playoff, stesso esito della successiva stagione che però vede Caserta protagonista a livello continentale grazie al percorso in Coppa delle Coppe, dove raggiunge l’atto conclusivo dopo aver compiuto l’impresa di eliminare (80-86 e 98-84) in semifinale lo Zalgiris Kaunas del gigante lituano Arvidas Sabonis.

Finale che si disputa il 14 marzo 1989 ad Atene contro il Real Madrid – alla quale abbiamo dedicato un opportuno articolo – e che si trasforma in una sorta di “sfida nella sfida” tra i due “violatori di retine”, al secolo Oscar da una parte ed il “Mozart dei canestriDrazen Petrovic dall’altra.

Alle penetrazioni del croato, il sudamericano replica con il tiro dalla distanza e, nonostante gli spagnoli sembrino avere ad un certo punto della ripresa la partita in pugno, la Juvecaserta completa la rimonta sino ad avere a disposizione sul 102-102 il tiro della vittoria, purtroppo fallito da Gentile, e così ai supplementari ad alzare il trofeo (117-113) sono i madrileni.

Cinque sconfitte in finale delle varie competizioni iniziano a pesare e così, dopo che la stagione 1990 si conclude con l’eliminazione alle semifinali playoff per mano della Scavolini Pesaro, il trio Maggiò, Sarti e Marcelletti decide di operare il taglio che nessuno si sarebbe mai atteso, ovvero privarsi proprio del “franco tiratore” Oscar, ritenuto troppo accentratore del gioco e pressoché unica fonte realizzativa, il che facilita le difese avversarie.

Piena fiducia, dunque, al terzetto “made in Italy” composto da Gentile, Esposito e Dell’Agnello, al quale vengono affiancati quali stranieri la coppia Usa formata dalla 25enne ala grande Tellis Frank, proveniente dai Miami Heat dopo aver esordito nella NBA con i Golden State Warriors, e dal 24enne centro Charles Shackleford, reduce da un biennio nelle file dei New Jersey Nets.

Una decisione da “bene bene o male male”, per quanto riguarda la dirigenza, ma i fatti stanno a dimostrare la bontà della scelta, visto che, in assenza dei “30 e passa” punti di media di Oscar, a capeggiare la classifica nella “regular season” sono Gentile con 20,1 ed Esposito con 17,1, e Caserta (abbinata Phonola) conclude in seconda posizione con 40 punti (frutto di 20 vittorie e 10 sconfitte) alle spalle della sola Milano, che vanta un record di 21-9.

Esentato dal primo turno dei playoff, con conseguente accesso diretto ai quarti, al quintetto di Marcelletti tocca però l’ostacolo costituito dai campioni d’Italia in carica di Pesaro, con i quali c’è un “conto da regolare e, stavolta, il vantaggio del fattore campo si rivela determinante, visti i punteggi con i quali si concludono (85-76, 77-109 e 107-91) le gare giocate sui rispettivi parquet.

Il percorso verso la terza finale per il titolo in sei stagioni prevede ora un’altra sfida con una delle “rivali storiche” del periodo, vale a dire la Virtus Bologna, ed anche in questo caso l’esito è lo stesso, ancorché al termine di incontri molto più equilibrati, con Caserta ad imporsi in 82-80 in gara-1, per poi essere sconfitta 73-75 sotto le Due Torri e quindi conquistare l’accesso per la serie che vale lo scudetto con il 91-76 al “Palamaggiò”.

Avversaria, come nelle due precedenti occasioni, ancora l’Olimpia Milano “targata” Philips – qualificatasi a spese (111-94 e 105-90) de “Il Messaggero” Roma –, l’unica contro cui Caserta non dispone del vantaggio del fattore campo, che continua a farla da padrone, visti i successi lombardi (99-90 e 87-72) di gara-1 e gara-3 e quelli campani (94-80 e 93-81) in gara-2 e gara-4.

La decisione senza appello è dunque rimandata a gara-5 in programma il 21 maggio 1991 al “Forum” di Assago – dove nell’arco dell’intera stagione la Philips non ha mai perso –, data che resterà nei secoli impressa nella storia del club casertano, con il quintetto di Marcelletti a reggere benissimo il confronto, tanto da andare al riposo in vantaggio 43-39 con 15 punti di Shackleford e 12 di Dell’Agnello, ma anche con la preoccupazione di un Gentile con già tre falli a carico.

Ad inizio ripresa, Caserta cerca di allungare (51-44), ma Milano reagisce portandosi a -3 (53-50), allorquando Esposito resta a terra per un infortunio al ginocchio che lo costringe ad uscire guardando il resto della gara in barella vicino alla propria panchina e, proprio quando è privata di uno dei suoi elementi migliori, ecco che la formazione campana reagisce con orgoglio, nonostante che Milano inizialmente approfitti della circostanza rimettendo (62-61) la testa avanti a 9’16” dal termine.

Tocca ai due azzurri Gentile e Dell’Agnello – sinora alquanto in ombra, specie il primo – “suonare la carica” e, in men che non si dica, dapprima una tripla di Gentile, poi una conclusione a segno di Dell’Agnello con tiro supplementare e quindi un canestro di Frank a seguire l’uscita per cinque falli di Pittis, consentono alla Phonola di prendere un margine (69-62) di vantaggio che non sarà più recuperato, sino al 97-88 definitivo che incorona Caserta campione d’Italia per la prima ed unica volta nella sua storia, con Dell’Agnello a concludere con 30 punti, Gentile a quota 28 e Shackleford a 20, ma con altrettanti rimbalzi catturati.

Raggiunto il vertice, per Caserta è anche purtroppo l’inizio di una parabola discendente che si consuma in brevissimo tempo, che la vede a distanza di tre anni retrocedere in A2 e quindi addirittura sciogliersi alla conclusione della stagione 1997-’98.

Non tutte le fiabe hanno un lieto fine, restando solo il ricordo di una “bella favola” che meglio di così nessuno avrebbe potuto immaginare

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